In chiusura del quarto ciclo di seminari intorno al tema del paesaggio monastico, organizzati da “Armonie composte” – un’iniziativa comune all’Università di Padova e all’Abbazia benedettina di Praglia, si è tenuto a Praglia sabato 18 maggio un incontro pubblico sul tema: “Acqua, suolo e sfruttamento del pianeta. Dal messaggio di Benedetto ad oggi”. All’incontro, introdotto e coordinato da Giuseppe Zaccaria, hanno partecipato Romano Prodi, l’ex Primate Benedettino Notker Wolf, il giurista Ugo Mattei, il prof. Paolo Salandin e il Cav. Silvano Pedrollo, Presidente dell’omonima azienda. Qui il testo dell’intervento introduttivo di Giuseppe Zaccaria.
«Questo incontro pubblico, che conclude le tre densissime giornate seminariali che Armonie composte ha voluto dedicare al tema “Acqua e terra nei paesaggi monastici: gestione, cura e costruzione del suolo”, ed i cui risultati sono stati poco fa sintetizzati da Dario Canzian e Giovanna Valenzano, proprio per il suo intento di discutere pubblicamente i temi affrontati ed emersi nel corso del seminario, ha un titolo ed una latitudine di temi estremamente ampi, tali da impedire l’approfondimento di singoli aspetti specifici di un problema che è gigantesco ed estremamente complesso. Tuttavia l’alta qualificazione dei partecipanti al nostro incontro garantisce, ne sono certo, almeno un risultato sicuro: quello cioè che i diversi aspetti (economico, teologico, giuridico, tecnico, solidale) a partire dai quali il tema dell’acqua – un tema che è per definizione interdisciplinare- può essere accostato e affrontato siano efficacemente illuminati e illustrati nelle loro potenzialità ma anche nei loro limiti esplicativi in un’ottica appunto trasversale e interdisciplinare. E’ proprio la diversità degli approcci di partenza – ne siamo convinti- che può contribuire a dare spessore e originalità al nostro approfondimento di oggi.
Una ventina d’anni fa, nel 2000, in un suo rapporto il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ricordava che “il consumo di acqua dolce tra il 1900 e il 1995 si era sestuplicato con un ritmo superiore al doppio del livello di crescita della popolazione”. Già nel 2000 – l’anno del rapporto di Kofi Annan- un terzo della popolazione mondiale viveva in paesi considerati ad emergenza idrica. Ma se questo trend dovesse continuare, nel 2025 – affermava Kofi Annan- i due terzi della popolazione della Terra vivranno in una condizione di emergenza idrica. Nel suo rapporto Kofi Annan parlava della crescita vertiginosa del consumo di acqua dolce; e non è fuori luogo a questo riguardo ricordare che se i due terzi del mondo sono coperti dall’acqua, solo il 2,5% è rappresentato da acqua dolce, mentre il 97, 5 % è rappresentato da acqua salata. Ciò spiega bene il perché della preoccupazione per il problema dell’acqua da parte delle Nazioni Unite, che fin dal 1997 fecero votare una Convenzione per l’uso dell’acqua nei corsi d’acqua internazionali transfrontalieri, convenzione che tuttavia, per la scarsa attenzione di molti Stati e dell’opinione pubblica per questi temi, è stata ratificata da 35 Stati firmatari – il numero sufficiente di Stati per entrare in vigore – solo nel 2014. Successivamente, il 28 luglio 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che sancisce che “l’acqua potabile e i servizi igienico-sanitari sono un diritto umano essenziale per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti gli altri diritti umani”. Nella stessa risoluzione si ricordava che 884 milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile e che ogni anno 1,5 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni muoiono per mancanza di acqua potabile. Il problema idrico, come è ben noto, rappresenta una delle principali cause di morte, di fame, di malattie e sottosviluppo, soprattutto in Africa, dove la trivellazione di un pozzo ha costi inaccessibili per moltissime comunità rurali. Nel solo Sahel il problema dei consumi familiari d’acqua riguarda 20 milioni di persone. Della drammaticità di questa situazione nei paesi poveri è ben consapevole il Cav. Silvano Pedrollo, che ci testimonierà qui la generosa attività solidale su ampia scala da lui e dalla sua azienda intrapresa e sviluppata da molti anni, che ha donato acqua e possibilità di vita e di sviluppo a centinaia di migliaia di persone.
Dunque un problema drammatico, quello del crescente consumo di una risorsa scarsa, la cui disponibilità pro capite è in continuo calo, un problema che comporta gravissimi rischi per l’umanità futura e che è ingigantito dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, che peggiorano la qualità dell’acqua e ne acutizzano ancor di più il valore strategico. Già oggi, come ci dirà il Presidente Prodi, ma sempre più nel futuro tale problema è destinato a causare un aumento esponenziale di tensioni e di conflitti nei rapporti tra i popoli e di vere e proprie guerre, tra città e campagne ( come avviene ad esempio in Cina e in india), tra ricchi e poveri, tra chi sta a monte e chi sta a valle, anche perché, come è noto, manca un’autorità mondiale, un punto di riferimento per analizzare e regolare l’uso dell’acqua con un’equa suddivisione delle risorse. L’analisi dovrà evidentemente distinguere tra i paesi poveri, nei quali il conflitto è tra gli usi tradizionali e quelli richiesti dalle forze economiche esterne al contesto, e i paesi sviluppati, nei quali il tema principale è invece rappresentato dall’ecosistema idrico e dalla protezione delle falde.
Certo, è vero che nell’irrigazione sregolata si assiste ad una notevolissima perdita d’acqua, che come ci potrà dire il prof. Salandin, potrebbe essere in parte limitata da interventi tecnici più efficaci. In fondo tutti noi siamo ancor oggi affascinati dalla perfezione degli acquedotti romani e il sapere ingegneristico ci propone soluzioni sofisticate con invasi artificiali, dighe, canali, acquedotti, depuratori. Ma se solo si pensa che raggiungendo gli 8 miliardi di popolazione globale, il consumo dell’acqua è destinato di conseguenza a crescere, è evidente che le soluzioni puramente tecniche possono essere necessarie, ma sono nel contempo del tutto insufficienti. Ed e’ un fatto che i consumi eccessivi d’acqua, oltre ad intaccare il patrimonio di risorse idriche, stanno prosciugando le falde e sconvolgendo gli ecosistemi. Non solo: per governare efficacemente la distanza che intercorre tra dove l’acqua c’è e dove l’acqua serve sono necessari interventi molto costosi, la cui economicità va valutata volta per volta. Se non ci sbagliamo, l’approccio prevalentemente orientato alla realizzazione di opere è stato recentemente sostituito da un approccio più basato su interventi volti a rendere più efficiente il sistema idrico esistente con nuovi materiali, nuovi modelli di infrastrutture e nuove fonti di energia.
Si dirà: ma in fondo i conflitti per l’acqua non rappresentano una novità, se è vero che essi sono già descritti e ampiamente trattati in quel grande codice della cultura occidentale che è la Bibbia, che prende sempre le mosse da un’esperienza antropologica basilare ed essenziale. Così in Esodo, 17, 1-4 : “ Tutta la comunità degli Israeliti levò l’accampamento dal deserto di Sin…Dopo varie trappe si accamparono a Refidim, ma là non c’era acqua potabile. Allora il popolo si irritò contro Mosè, dicendo: dateci acqua da bere! Mosè rispose: Perché ve la prendete con me? Perché volete mettere alla prova il Signore? Ma in quel luogo il popolo soffriva una gran sete. Continuò a protestare contro Mosè : Vuoi farci morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? Allora Mosè implorò l’aiuto del Signore…Il Signore rispose. Va e porta con te il bastone con cui hai colpito l’acqua del Nilo. Là sul monte Oreb io starò davanti a te su una roccia . Tu colpirai quella roccia e da essa uscirà acqua. Così il popolo potrà bere”.
In effetti nei testi fondativi del Cristianesimo e nelle prime espressioni di testimonianza cristiana sono evidenti il sentimento di rispetto per la natura e il riconoscimento della grande potenza simbolica e metaforica dell’acqua, la cui sacralità si lega profondamente al nostro immaginario e alla nostra identità. E ’l’acqua fons vitae che nel battesimo purifica e lava le macchie del peccato e che diventa immagine potente – si pensi ai mosaici ravennati di Sant’Apollinare Nuovo o del mausoleo di Galla Placidia- dell’incontro del Signore con chi ha fede. L’acqua come strumento di salvezza. Non per nulla l’ultima frase pronunciata da Gesù nel libro dell’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia, è questa: “Chi ha sete venga: chi vuole l’acqua che dà la vita ne beva gratuitamente” (Ap 22, 17). In linea con questa tradizione si collocano Francesco d’Assisi, che nella sua Laude rendeva grazie al Signore per “sorella acqua, la quale è molto utile ed umile, preziosa e casta” e Benedetto da Norcia, che con la sua Regola, grande codice della vita monastica occidentale, fornisce un modello di vita e di lavoro, di accoglienza, di equilibrio e di pace con la natura, che trova nell’acqua un elemento insostituibile. Non solo perché le abbazie e le certose sono sorte nei pressi di acque sorgive, fontanili, polle affioranti, che hanno costituito la fecondità dell’acqua come fondamento essenziale per la vita quotidiana dei monaci. Ma anche perché il forte impegno nel lavoro oltre che nella preghiera prescritto dalla regola, una volta applicato su grandi estensioni di terreno, spesso messo a coltivazione per la prima volta, ebbe per effetto la rinascita dell’agricoltura e la creazione di grandi patrimoni rurali e di importanti risorse economiche, così operando il miracolo di trasformare e bonificare con un dinamismo stupefacente gli spazi più incolti d’Europa e luoghi non immediatamente vivibili o depressi. La bonifica, il rendere buono il terreno, nasce appunto da un riequilibrio del rapporto tra terra e acqua e in tal modo, paradossalmente, proprio grazie alle bonifiche dei benedettini ed al loro lavoro agricolo di manutenzione e di cura, sono state costruite gran parte delle pianure europee. L’ordine interno, del chiostro, diventa ordine esterno, costruzione del paesaggio, con la grandezza di capire l’identità dei luoghi, la dimensione plurale del nostro mondo. La ricerca benedettina del deserto interiore si traduce non in privazione dell’acqua, ma nella sua massima valorizzazione.
Sarà l’Abate Notker Wolf a dirci se questo richiamo alla dimensione spirituale, alla presenza di una regola vissuta e praticata in una dimensione comunitaria sia valido ancor oggi, in un mondo spesso caratterizzato dall’assenza totale di spiritualità in politica, dalla mancanza di regole e di rispetto per l’identità dei luoghi, come tra l’altro sembra suggerire di recente Paolo Rumiz nel suo bel volume Il filo infinito. La storia millenaria delle abbazie e la loro straordinaria capacità di incidere sull’ambiente e sul territorio sembrano indicare come da un cuore pacificato dentro la comunità possa scaturire anche un modo corretto di rapportarsi con l’ambiente circostante.
E’ però innegabile che se alle origini della tradizione cristiana e nel potente influsso di Francesco d’Assisi e di Benedetto da Norcia è evidente il rispetto etico per la natura, questo stesso rispetto è stato poi però per molti secoli trascurato o addirittura violato ed anche testi e tradizioni cristiane sono stati talora utilizzati per giustificare il saccheggio e la distruzione del mondo naturale. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che atmosfera, clima, acqua e suolo rappresentano beni globali appartenenti a tutti, risorse naturali che non possiamo produrre. L’umanità, come ha sostenuto con vigore Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, non si trova più di fronte a crisi separate, ma piuttosto ad una crisi interconnessa, delle dimensioni economica, politica, ambientale e culturale, tra loro intrecciate, una crisi di profondo significato e di grande urgenza. Le stesse istituzioni europee si sono mostrate consapevoli di questo aspetto, fissando con l’ambiziosa Direttiva quadro sulle acque (Water framework directive) l’obiettivo minimo non derogabile di raggiungere entro il 2016 il buono stato ecologico dei corpi idrici.
Privatizzare completamente l’acqua potabile significa espropriare la comunità di un suo bene comune (altra cosa rispetto alla risorsa acqua è l’infrastruttura, ossia l’organizzazione dei servizi industriali per distribuirla). Essa, a differenza del gas o dell’energia, è un bene essenziale appartenente alla collettività e a tutti dovrebbe essere garantito il diritto di accedervi. Proprio la teoria giuridica, soprattutto negli ultimi dieci anni, dopo l’attribuzione del Premio Nobel per l’economia a Elinor Ostrom per i suoi studi sui commons, beni comuni, ha cercato di sviluppare la nozione di beni comuni come strumenti di soddisfazione dei bisogni e dei diritti fondamentali della comunità. Prendendo atto della circostanza che al momento nessuna tutela giuridica (costituzionale e di diritto internazionale) esiste nei confronti dello Stato che trasferisce al privato beni comuni, la teoria giuridica ha posto con forza, con il tema dei beni comuni, la questione fondamentale del rapporto tra persone e natura in termini diversi da quelli di un rapporto di dominio assoluto e incontrastato di un soggetto su un oggetto. Nella modernità i beni possono essere pubblici, cioè appartenenti allo Stato, o privati, cioè appartenenti a individui. I beni comuni debbono rimanere accessibili a tutti, non soltanto alla generazione presente, ma anche, secondo la profonda intuizione del filosofo Hans Jonas nel suo Il principio responsabilità, alle generazioni future. Resta il problema, quando si parla di beni comuni, a quale comunità il bene comune debba dirsi tale. Al villaggio, alla regione, alla nazione, al mondo intero? Come ripartire i costi e i benefici tra i vari gruppi sociali interessati? Il prof. Mattei, uno dei protagonisti in Italia di questa lotta per il riconoscimento dei beni comuni, ci dirà se questo tentativo di individuare una via intermedia tra quella che egli chiama la tenaglia tra la proprietà privata e la sovranità statuale possa dirsi riuscito e in quali termini.
Sia come cittadini del mondo che abitano una casa comune ed un ambiente vulnerabili e in tante zone violati, sia come fruitori di quel bene prezioso per la vita che è l’acqua, dobbiamo prendere crescente consapevolezza che nel preservare integre le funzioni ecologiche di supporto alle diverse forme di vita molto dipende dai nostri comportamenti e dalle nostre scelte. Il seminario di “armonie composte” e questa tavola rotonda di oggi hanno voluto dare un contributo, sia pur piccolo, nella direzione di una strada da fare di presa di coscienza , di coinvolgimento attivo e di assunzione di modelli di vita e stili di consumo più sobri, che è ancora lunghissima».