In occasione del settantesimo anno del professor Vittorio Domenichelli, colleghi e allievi hanno voluto festeggiare l’illustre amministrativista con un convegno dedicato ad uno dei temi di studio cui Domenichelli ha dato con le sue ricerche un contributo molto significativo e con la consegna di due volumi di scritti in suo onore. Il Convegno “La giustizia amministrativa a cavallo dei due secoli”, tenutosi al Bo il 25 gennaio 2019, e al quale hanno partecipato i maggiori studiosi italiani di diritto amministrativo, è stato coordinato da Giuseppe Zaccaria, autore dell’intervento introduttivo qui allegato.
Non saprei dire con assoluta precisione quando ho conosciuto Vittorio Domenichelli. Mi verrebbe di dire da sempre, visto che da un quarantennio le nostre vite si sono in diversi modi incrociate, seguendo percorsi certamente diversi (io non ho mai fatto come lui l’avvocato), ma altrettanto certamente paralleli, come nella grande opera di Plutarco.
Studi in Giurisprudenza a Padova, laurea con due insigni maestri della Facoltà giuridica, Livio Paladin lui, Enrico Opocher io, ho sempre considerato Vittorio come il brillante ed elegante componente di un terzetto ( con Gianni Sala e Mario Bertolissi), raccolto a Scienze Politiche dall’insegnamento di maestri come Giorgio Pastori, titolare della cattedra di Scienza dell’Amministrazione prima di trasferirsi a Milano all’Università Cattolica, e Giorgio Berti. Giuristi molto autorevoli, ma anche e soprattutto maestri di vita e di pensiero per coloro che si sono formati alla loro scuola.
E’ in questi anni della sua vita universitaria che maturano l’interesse di Vittorio per il diritto regionale ( un primo amore poi mai dimenticato…) e, pur nel quadro solidamente sistematico tipico della scuola padovana, la sua relativa autonomia rispetto alle principali scuole del diritto amministrativo . Nella sua prospettiva lo studio di questa disciplina non si esaurisce nell’analisi normativa o nella ricostruzione dogmatica degli istituti, quanto piuttosto costantemente si estende alla verifica della sua conformità alle funzioni sociali e ai valori costituzionali. In questo l’impostazione originaria di Vittorio mi pare presenti alcune indubitabili affinità con la prospettiva di Feliciano Benvenuti.
Dicevo sopra delle Vite Parallele di Plutarco. Debbo confessare che proprio in quegli anni guardavo con una punta di invidia ai miei giovani colleghi di Scienze Politiche. Mentre io, pur rasserenato dalla costante fiducia di Opocher, mi trovavo duramente alle prese con il clima arcigno e talora scostante di una Facoltà molto rigida e severa, ma ancora ricca di personalità illustri come Paladin, come Bettiol, come Trabucchi, come Guicciardi, i miei amici di Scienze Politiche, pur tra un’agitazione e l’altra, godevano di un’atmosfera certamente più libera e, almeno così pareva ai miei occhi allora, più fruttuosa per la loro crescita.
Poi, lentamente, le strade di Vittorio e mia, hanno iniziato a divaricarsi. Per tutti gli anni Ottanta la mia lontananza dal contesto accademico padovano ( insegnando prima a Sassari e in seguito a Ferrara) ebbe per effetto di diradare i nostri incontri e le nostre frequentazioni. Ma a partire dagli inizi degli anni Novanta ci fu una forte ripresa di legami accademici. Chiamato nel 1990 a succedere a Ruggero Meneghelli sulla cattedra di Teoria generale del diritto e divenuto ben presto Preside della Facoltà di Scienze Politiche, ritrovai Vittorio come collega titolare della cattedra di Diritto Amministrativo, e dunque come componente di quell’agguerrito gruppo di giuristi di Scienze Politiche che, in continuità con una tradizione giovane ma già importante, cercava di difendere la funzione e la rilevanza dell’approccio formativo giuridico all’interno della pluralità di linguaggi caratteristica della Facoltà. Durante il mio lungo periodo di Presidenza della Facoltà (9 anni) ho avuto perciò modo di conoscere meglio Vittorio anche da quello specifico angolo di osservazione che è il rapporto tra un Preside ed un suo collega ( che era però nel contempo un amico): ne ho sempre apprezzato nei Consigli di Facoltà gli interventi, ricchi di equilibrio e di saggezza e lontani da ogni ideologia, e soprattutto ho stimato e ammirato la sua rara e invidiabile capacità di conciliare un impegno professionale che via via si espandeva al più alto livello con un adempimento scrupoloso e ineccepibile dei suoi doveri didattici. Non so cosa ne pensasse in quegli anni Lorenza di quel suo superattivismo, che inevitabilmente riduceva gli spazi di disponibilità familiare, ma a mio avviso la regolarità nelle lezioni e la numerosità delle tesi di laurea da lui seguite costituivano davvero un esempio per tutti.
E siamo così giunti ai miei sei anni di Rettorato, durante i quali Vittorio è stato uno dei miei più preziosi, fidati e affidabili consiglieri giuridici. Nei meandri e nei contorcimenti delle rigide prescrizioni cui costringeva una legislazione invasiva, e vorrei dire spesso lesiva dell’autonomia costituzionale riconosciuta agli Atenei, come anche nelle difficoltà di gestire alcuni colleghi e alcune situazioni di un Ateneo grande e plurale, il costante consiglio di Vittorio non ha mai fatto mancare la sua generosa disponibilità personale e il suo alto senso istituzionale nel fornirmi un illuminato supporto e preziosi suggerimenti, sempre ricchi di esperienza giuridica e umana, di equilibrio e di saggezza, e per fortuna spesso assistiti da esiti favorevoli anche in tormentati contenziosi amministrativi e nei difficili rapporti con la Regione. Ho maturato in questo lungo periodo un sentimento di profonda gratitudine nei confronti di Vittorio, non soltanto per il suo alto contributo “tecnico”, ma anche per la sua vicinanza al mio difficile impegno e per la capacità di sdrammatizzare momenti non semplici intervallando il consiglio giuridico con il racconto intellettualmente vivacissimo dei suoi mirabolanti viaggi in tutto il mondo, della mostra appena vista a Londra o delle sue letture sul giardino all’italiana…
Avrete certamente notato che fino a qui la mia testimonianza di amico e di collega non ha fatto cenno alla produzione scientifica di Vittorio, per il semplice motivo che non possiedo le competenze disciplinari per interloquire efficacemente in quest’ ambito. Tuttavia non mi sottraggo a rendervi partecipi di qualche impressione di un outsider del diritto amministrativo. Nel progressivo spostamento degli interessi scientifici di Vittorio da temi di diritto sostanziale (come nei saggi sull’edilizia e l’urbanistica, sui lavori pubblici e sui servizi pubblici) a temi di giustizia amministrativa leggo con evidenza la sua lucida percezione del profondissimo mutamento intervenuto nel diritto amministrativo nel corso degli ultimi quarant’anni, con un’importante trasformazione della giurisdizione amministrativa e l’emergere di un ruolo “normativo” delle decisioni giudiziarie.
In due scritti recenti di Vittorio, la relazione al convegno annuale AIPDA 2015 su Il ruolo normativo del giudice nella formazione e nello sviluppo del diritto amministrativo e quella ancor più recente su Diritto amministrativo, giudice ed economia ho ritrovato numerosi elementi di convergenza con tesi ripetutamente sostenute nei miei lavori.
Solo per fare un esempio, se Vittorio insiste sul fatto che la norma del caso scaturisce da un percorso “corale” e non da un interprete solitario, con diverso linguaggio ma con analogo sentire io ho parlato di comunità dell’interpretazione giuridica per significare che l’interpretazione singola emerge dal tessuto della tradizione giuridica e dai precedenti delle diverse voci interpretative. Così come comune è la constatazione della crescente complessità del sistema delle fonti di diritto, con un effetto di incrocio tra discipline regolatorie diverse, che finisce inevitabilmente per accrescere il ruolo decisivo e dirimente del giudice-interprete.
Perché uno dei paradossi del diritto amministrativo è che da un lato il rapporto tra legislazione e giurisdizione si pone in forme molto diverse da quelle di altri campi del diritto, dall’altro molte tra le sue principali categorie (come quelle di atto amministrativo, di eccesso di potere, di interesse legittimo) sono state ricavate dalla giurisprudenza, in particolare dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha così compensato la relativa ristrettezza delle previsioni legislative. E proprio qui, nella meditazione sull’evolversi dell’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, Vittorio ha fondato un mutamento di accenti del suo approccio, con la progressiva assunzione (cui forse non è estranea l’intensa esperienza professionale di avvocato ) del punto di vista della tutela del cittadino rispetto alla considerazione un tempo prevalente per non dire esclusiva dell’interesse pubblico.
Per concludere questa mia già troppo lunga testimonianza, credo che l’omaggio oggi tributato a Vittorio, più che meritato da tutti i punti di vista, coroni efficacemente il culmine di un’esperienza professionale e scientifica ricchissima, che ha visto sempre al suo centro un profondo rispetto per l’amministrazione e nel contempo un profondo rispetto per i cittadini.